☭    "Non è difficile essere rivoluzionari quando la rivoluzione è già scoppiata e divampa... È cosa molto più difficile - e molto più preziosa - sapere essere rivoluzionari quando non esistono ancora le condizioni per una lotta diretta, aperta, effettivamente di massa, effettivamente rivoluzionaria; saper propugnare gli interessi della rivoluzione (con la propaganda, con l'agitazione, con l'organizzazione) nelle istituzioni non rivoluzionare, sovente addirittura reazionarie, in un ambiente non rivoluzionario, fra una massa incapace di comprendere subito la necessità del metodo rivoluzionario di azione"     ☭    



Iosif Vissarionovic Dzugasvili
Stalin

Il revisionismo moderno al potere, nuova arma della borghesia contro la rivoluzione e il socialismo


12/9/2019
tratto da “L'eurocomunismo è anticomunismo” di Enver Hoxha capitolo I “LA NUOVA STRATEGIA IMPERIALISTA E LA NASCITA DEL REVISIONISMO MODERNO “ pag 26-64.



La prima corrente che precedette il revisionismo moderno al potere fu il browderismo. Questa corrente nacque negli Stati Uniti d’America e prese il suo nome dall’ex-segretario generale del Partito Comunista degli USA, Earl Browder.

Nel 1944, quando all’orizzonte si profilava chiara la vittoria dei popoli sul fascismo, Browder si presentò pubblicamente con un programma da cima a fondo riformista. Egli fu il primo araldo di quella linea ideologica e politica capitolazionista che l’imperialismo americano avrebbe tentato di imporre ai partiti comunisti e ai movimenti ri­voluzionari. Con il pretesto del presunto muta­ mento delle condizioni storiche di sviluppo del capitalismo e della situazione internazionale, Browder proclamò «superato» il marxismo-leni­nismo e lo definì un sistema di dogmi e di schemi rigidi. Browder predicava la rinuncia alla lotta di classe, la conciliazione di classe a livello na­zionale e internazionale. Egli pensava che il capitalismo americano non era più reazionario, che esso era in grado di guarire le piaghe della società borghese, e che poteva svilupparsi sulla via democratica per il bene dei lavoratori. Egli non considerava più il socialismo né come un ideale, né come un obiettivo da conseguire. L’imperialismo americano, la sua strategia e la sua politica erano completamente scomparsi dal suo campo visivo. I grandi monopoli, pilastri di quest’ imperialismo, costituivano per Browder una forza progressiva di sviluppo economico, sociale e democratico del paese. Browder negava il carattere di classe dello Stato capitalista e considerava la società americana come una società unica e armonica, senza antagonismi sociali, come una società in cui regnano la comprensione e la collaborazione di classe. Partendo da queste concezioni, Browder negava anche la necessità della stessa esistenza del partito rivoluzionario della classe operaia. Nel 1944, egli si fece anche il promotore dello scioglimento del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America.

«I comunisti, egli scriveva, prevedono che gli obiettivi politici e pratici che essi perseguono, sa­ ranno per un lungo periodo identici su tutte le questioni di fondo con gli obiettivi di una massa più vasta di non comunisti. In questo modo le no­ stre iniziative politiche finiranno per fondersi in grandi movimenti di tal genere. Perciò l’esisten­za di un partito politico particolare dei comunisti non serve più agli scopi pratici, ma, al contrario, può essere di ostacolo ad una più larga unità. Ra­gion per cui i comunisti devono sciogliere il loro partito particolare e trovare una nuova e diversa forma di organizzazione ed un nuovo nome che sia più consono ai compiti del giorno e alla struttura politica attraverso la quale saranno realizzati questi compiti».(1)

Browder, come punto di partenza e di giusti­ficazione alla formulazione delle sue teorie borghesi liquidatone, prese la Conferenza delle po­ tenze alleate svoltasi a Teheran nel 1943, analiz­zando e interpretando i risultati di questa in mo­do antimarxista e in maniera completamente fal­sa.

Egli presentò l’intesa degli alleati antifascisti di condurre la guerra contro la Germania fascista fino in fondo come l’inizio di una nuova epoca storica, in cui il socialismo e il capitalismo aveva­no scoperto, secondo l’espressione da lui usata, la via della collaborazione nel quadro di «un mon­do unico e identico». Browder pose il compito che lo spirito di collaborazione e di coesistenza paci­fica fra le potenze alleate, emerso dalla conferen­za di Teheran, fosse attuato non solo fra lo Stato socialista sovietico e gli Stati capitalisti, ma an­ che all’interno di ogni paese capitalista nei rap­porti fra le classi antagoniste. «Ora le differenze di classe e i gruppi politici non hanno più nes­suna importanza», dichiarava Browder. L’unico obiettivo che i comunisti debbono perseguire, secondo lui, era quello di realizzare senza incidenti, in un’atmosfera di pace fra le classi, l’«unità nazionale», che egli considerava come un blocco comprendente i gruppi del capitale finanziario, le organizzazioni monopolistiche, i partiti repubblicano e democratico, persino i comunisti e i movimenti sindacali, i quali, senza eccezione, egli considerava forze «democratiche e patriottiche».

In nome di questa unità Browder dichiarava che i comunisti debbono essere pronti a sacrificare anche le loro convinzioni, la loro ideologia ed i loro interessi particolari, regola che i comunisti americani avevano applicato per primi. Egli proseguiva: «Noi cercheremo di presentare i nostri scopi politici, identici a quelli della maggioranza degli americani, attraverso la struttura esistente dei partiti del nostro paese che, in generale, è il «sistema bipartito» specificatamente americano».(2)

Impressionato dallo sviluppo relativamente pacifico del capitalismo americano, in seguito alle note riforme che il presidente americano Roose­velt attuò per far uscire il paese dalla crisi eco­nomica all’inizio degli anni ’30, come pure dalla rapida crescita della produzione e dei posti di la­ voro durante il periodo bellico, Browder giunse alla conclusione che il capitalismo americano, a suo dire, era ringiovanito, che d’ora in poi si sarebbe sviluppato senza crisi, che avrebbe pro­ mosso il benessere generale ecc.

Egli considerava il sistema economico ameri­cano come un sistema capace di risolvere tutte le contraddizioni e tutti i problemi della società, nonché di soddisfare tutte le esigenze delle masse. Egli mise il segno d’uguaglianza fra comunismo e americanismo e dichiarò che «il comunismo è l’americanismo del XX secolo». Tutti i paesi capi­talisti sviluppati, secondo Browder, sfruttando la democrazia borghese, il cui modello doveva essere la democrazia americana, possono risolvere tutti i conflitti e passare gradualmente al socialismo.

Perciò, secondo Browder, ai comunisti ame­ricani spettava il compito di garantire il funzionamento normale del regime capitalista; ed egli dichiarava apertamente che essi erano pronti a col­ laborare per garantire il funzionamento efficace di questo regime capitalista nel periodo del dopo­ guerra, cercando nel contempo di «alleggerire al massimo gli oneri che gravano sul popolo». Que­sti alleggerimenti, secondo lui, sarebbero stati fatti dai capitalisti «ragionevoli» americani, ai quali i comunisti dovevano tendere la mano dell’ami­cizia.

In concomitanza con le sue concezioni di e- strema destra e cedendo alla pressione della bor­ghesia, Browder, dopo lo scioglimento del partito comunista, nel maggio del 1944 proclamò la crea­ zione, invece del partito, di una associazione culturale illuministica soprannominata «associazione politica comunista», giustificando questo atto con l’argomento inconsistente che la tradizione americana esigeva l’esistenza di solo due partiti. Questa associazione, organizzata come una rete di circoli, si doveva principalmente occupare di «attività educative e politiche su scala nazionale, regionale e locale».

Nello Statuto di quest’associazione era detto: «L’Associazione politica comunista è un’organiz­zazione non partitica degli americani, la quale, poggiando sulla classe operaia, porta avanti le tradizioni di Washington, Jefferson, Paine, Jack­son e Lincoln, nelle condizioni modificate della società industriale moderna»; questa associazione «... difende la Dichiarazione d’indipendenza, la Costituzione degli Stati Uniti d’America e la Car­ta dei diritti nonché le acquisizioni della demo­crazia americana contro tutti i nemici delle liber­tà del popolo».(3) Browder ha cancellato tutti gli obiettivi del movimento comunista. Nel programma dell’associazione non si fa il minimo cenno né al marxismo-leninismo né all’egemonia del prole­tariato né alla lotta di classe né alla rivoluzione né al socialismo. I suoi unici obiettivi sono diven­tati l’unità nazionale, la pace sociale, la salva­guardia della costituzione borghese e l’incremento della produzione capitalistica.

In questo modo Browder, dalla revisione aperta delle questioni fondamentali del marxismo- leninismo, della strategia e della tattica rivoluzio­narie, è passato alla liquidazione organizzativa del movimento comunista negli Stati Uniti d’America. Sebbene nel giugno 1945, nel corso del 13° Congresso fosse ricreato il partito e formalmente respinta la linea opportunistica di Browder, la sua influenza non è mai scomparsa nel Partito Comunista degli USA. Mentre più tardi, in particolar modo dopo il 1956, le idee di Browder presero a rifiorire e John Hayes nel suo articolo «E’ giunta l’ora di cambiare»(4) chiese di nuovo, nello spirito del browderismo, la trasformazione del Partito Comunista degli USA in un’associazione culturale, propagandistica. Infatti l’attuale Partito Comunista degli USA è tale, cioè un’organizzazione in cui domina il revisionismo browderiano, intrecciato con quello kruscioviano.

Con le sue concezioni revisioniste sulla rivo­luzione e il socialismo, Browder ha dato al capi­ talismo mondiale un aiuto diretto. Secondo lui, il socialismo nasce solo come risultato di qualche grande calamità, di qualche catastrofe, e non co­ me risultato inevitabile dello sviluppo storico. «Noi, egli diceva, non auguriamo nessuna catastro­fe all’America, anche se ciò portasse al socialismo». Presentando la prospettiva della vittoria del socialismo come molto lontana, egli predicava la collaborazione di classe nella società americana e in tutto il mondo. L’unica alternativa, secondo lui, era quella dello sviluppo evoluzionista, attraverso le riforme e con l’aiuto degli Stati Uniti d’America.

Secondo Browder, gli Stati Uniti d’America che disponevano di una potenza economica colos­ sale, di un grande potenziale scientifico e tecni­ co, dovevano aiutare i popoli del mondo, compreso quello dell’Unione Sovietica, per assicurarne lo «sviluppo». Tale «aiuto», diceva Browder, avrebbe permesso all’America di mantenere elevati ritmi di produzione anche nel dopoguerra, per assicurare lavoro a tutti, e per conservare l’unità nazionale per molti anni. A tal fine Browder consigliava ai magnati di Washington di creare «una serie di gigantesche corporazioni industriali per lo sviluppo delle diverse zone arretrate o devastate dalla guerra in Europa, Africa, Asia e America Latina(6). «Se riusciamo ad affrontare la realtà senza tentennamenti e a far rinascere, nel senso moderno della parola, la grande tradizione di Jefferson, Paine e Lincoln, allora l’America potrà apparire unita di fronte al mondo, assumendo un ruolo di guida... per salvare l’umanità»(7). In questo modo egli divenne portavoce e propagandista della grande strategia dell’imperialismo americano, delle sue teorie e dei suoi piani neocolonialistici ed espansionistici.

Il browderismo serviva direttamente il «piano Marshall», attraverso il quale gli Stati Uniti d’America miravano a stabilire la loro egemonia economica nei vari paesi dell’Europa devastati dalla guerra, nonché in quelli dell’Asia, dell’Africa e cosi via. Browder predicava che i paesi del mondo, e particolarmente i paesi a democrazia popolare e l’Unione Sovietica, dovevano ammorbidire la loro politica marxista-leninista e accettare l’aiuto «altruista» degli Stati Uniti d’America, i quali, a suo dire, hanno una grande economia e dispongono di notevoli riserve, che possono e debbono essere messe al servizio di tutti i popoli(!).

Browder si è sforzato di presentare i suoi punti di vista antimarxisti e controrivoluzionari come linea generale del movimento comunista in­ternazionale. Come tutti i revisionisti precedenti, anche Browder ha cercato, con il pretesto dello sviluppo creativo del marxismo e della lotta con­tro il dogmatismo, di provare coi fatti che la nuova epoca che seguì la Seconda Guerra mon­diale esigeva dal movimento comunista una revi­sione delle precedenti convinzioni ideologiche e la rinuncia «alle vecchie formule e ai vecchi pregiudizi» che, a suo dire, «non ci saranno affatto di aiuto per trovare la nostra via nel mondo nuovo». Questo era un appello in base al quale bisognava rinunciare ai princìpi del marxismo-leninismo.

I punti di vista di Browder furono contrastati dai partiti comunisti di vari paesi, come anche dagli stessi comunisti rivoluzionari americani. Il browderismo fu denunciato relativamente presto come un revisionismo senza maschera, come un’ aperta corrente liquidatoria, come un’agenzia di diversione ideologica alle dirette dipendenze del­ l’imperialismo americano.
Il browderismo arrecò un gravissimo danno al movimento operaio e comunista negli Stati Uniti d’America e in alcuni paesi dell’America Latina. Alcuni vecchi partiti comunisti dell’America La­tina rimasero scossi e al loro interno si ebbero delle scissioni, che avevano la loro origine nell’attività degli elementi opportunisti, i quali, stanchi dalla lotta rivoluzionaria, si aggrapparono ai rami che l’imperialismo americano creava per soffocare la rivolta dei popoli e la rivoluzione, come anche per corrompere i partiti che lavoravano per l’educa­zione e la preparazione dei popoli alla rivoluzione.

In Europa il browderismo non ebbe quel suc­ cesso che invece conseguì nel Sudamerica, ciò no­nostante questo seme dell’imperialismo americano non mancò di metter radici fra quegli elementi riformisti, antimarxisti e antileninisti mascherati, che aspettavano o preparavano i momenti favorevoli per deviare apertamente dall’ideologia scientifica marxista-leninista.

Benché il browderismo al suo tempo non riu­scì a divenire una corrente revisionista su scala internazionale, i suoi punti di vista furono rie­sumati e fatti propri dagli altri revisionisti moderni che vennero più tardi. Queste concezioni, nelle più svariate forme, stanno alla base delle piattaforme politiche e ideologiche dei revisionisti cinesi e jugoslavi, come anche dei partiti euroco­munisti dell’Europa Occidentale.

Non solo il browderismo, ma anche il mao-tsetung pensiero, le teorie e la linea seguita dalla direzione cinese, corrispondevano in pieno alla strategia americana volta a «frenare il comuni­smo» e a stabilire l’egemonia degli Stati Uniti d’America sul mondo capitalista del dopoguerra.

All’inizio del 1945, allorché comparve sulla scena Browder e mentre stava prendendo comple­tamente corpo con Truman la nuova strategia ame­ricana, in Cina si tenne il 7° Congresso del Partito Comunista Cinese. Nello Statuto approvato da questo Congresso era detto : «Il Partito Comunista Cinese in tutta la sua attività ha come guida le idee di Mao Tsetung», Liu Shao-chi, commentando questa decisione, nel rapporto che presentò al con- gresso dichiarò che Mao Tsetung avrebbe respinto parecchie concezioni superate della teoria marxista e le avrebbe sostituite con tesi e conclusioni nuove. Secondo Liu Shao-chi, Mao Tsetung avrebbe «cinesizzato» il marxismo. «Il pensiero di Mao Tse tung, dichiarò Liu Shao-chi, è il marxismo cinese».

Queste «tesi e conclusioni nuove», questa «cinesizzazione» del marxismo non costituivano affatto un’applicazione creativa del marxismo-leninismo nelle condizioni concrete della Cina, ma rappresentavano una negazione delle sue fondamentali leggi universali. Mao Tsetung e i suoi compagni concepivano lo sviluppo della rivoluzione in Cina da democratici borghesi. Essi non erano per la sua crescita in rivoluzione socialista. Avevano per modello la «democrazia americana», e per edificare la nuova Cina contavano sul sostegno del capitale americano.

Le idee di Mao Tsetung erano molto affini ai punti di vista opportunistici di Browder, il quale, e questo bisogna riconoscerlo, aveva stu­diato e capito bene le concezioni antimarxiste dei dirigenti cinesi. «Quello che viene chiamato campo «comunista» in Cina, per il fatto che è guidato da eminenti membri del Partito Comunista Cinese — scriveva Browder, — è più vicino al concetto ame­ricano della democrazia che il cosiddetto campo del Kuomintang. Esso è più vicino, sotto ogni aspetto, compresa qui la grande estensione che viene data alla «libera iniziativa» nella vita eco­nomica»(8).

Mao Tsetung era favorevole ad uno sviluppo libero e illimitato del capitalismo in Cina nel pe­riodo dello Stato di tipo della «nuova democrazia», come egli soleva chiamare il regime che sarebbe stato instaurato dopo la partenza dei giapponesi. Al 7° Congresso del PCC egli affermava: «Alcuni pensano che i comunisti siano contrari allo svi­luppo dell’iniziativa privata, che essi siano con­trari allo sviluppo del capitale privato, che siano contrari alla difesa della proprietà privata. In real­tà non è così. Compito dell’ordine della nuova democrazia, per l’instaurazione del quale noi lavo­riamo, è proprio quello di assicurare ai vasti strati di cinesi la possibilità di sviluppare liberamente l’iniziativa privata nella società, di sviluppare liberamente l’economia capitalistica privata». In questo modo Mao Tsetung ha fatto propria la con­cezione antimarxista di Kautsky, secondo cui nei paesi arretrati il passaggio al socialismo non può essere realizzato senza un lungo periodo di libero sviluppo del capitalismo, periodo che prepara le condizioni necessarie per passare più tardi al socialismo. In realtà il presunto regime socialista, instaurato in Cina da Mao Tsetung e dal suo grup­po, è stato ed è tuttora un regime democratico-borghese.

La linea che la direzione cinese, con alla testa Mao Tsetung, cominciò a seguire per frenare la rivoluzione e chiudere ogni prospettiva al sociali­smo in Cina, era in realtà a favore dell’imperialismo americano che cercava di estendere il proprio dominio come anche delle altre potenze imperia­liste che volevano conservare i loro vecchi pos­sedimenti.

Negli anni del dopoguerra, il movimento di liberazione nazionale anticolonialistico diven­ne più intenso in tutti i continenti. Gli imperi coloniali inglese, francese, italiano, olandese e belga cominciarono a crollare uno dopo l’altro sotto i colpi delle insurrezioni popolari nelle co­ lonie. Nella maggior parte di questi paesi la rivo­luzione aveva un carattere democratico borghese. Ma in alcuni di essi esistevano le possibilità ogget­tive perché la rivoluzione crescesse e assumesse un carattere socialista. Con le sue concezioni e inizia­tive, Mao Tsetung predicava l’allontanamento del­le rivoluzioni antimperialistiche dalla giusta via del loro sviluppo, egli chiedeva che esse si fermassero a metà strada, senza superare il quadro borghese, al fine di rendere perenne il sistema capitalistico. Il danno cagionato dalle «teorie» di Mao Tsetung fu considerevole, se si tiene conto dell’importanza della rivoluzione cinese e della sua influenza nei paesi coloniali.

Secondo la linea di Mao, la Cina e, sulla sua scia, anche l’Indocina, la Birmania, l’Indonesia, l’India ecc., per assicurare il loro sviluppo do­vevano basarsi sugli Stati Uniti d’America, sul ca­pitale e sull’aiuto americani. Tutto ciò significava accettare la nuova strategia, formulata dai vari dipartimenti di Washington, e che Browder aveva cominciato a predicare a modo suo.

Le concezioni, le posizioni, le iniziative e le esigenze di Mao Tsetung nei confronti degli Stati Uniti d’America sono stati descritti in modo par­ticolareggiato dagli inviati dell’America presso il quartiere generale di Mao Tsetung negli anni 1944- 1949. Uno di questi inviati è anche John Service, consigliere politico del comandante delle forze mili­tari americane del fronte birmano-cinese e più tardi segretario dell’ambasciata americana presso Chiang Kai-shek a Chungking. Egli fu il primo fra gli agenti dello spionaggio americano a stabilire con­tatti ufficiali con la direzione del Partito Comu­nista Cinese, mentre di contatti non ufficiali ve ne sono stati costantemente.

Parlando dei dirigenti cinesi, Service affer­ma: «La loro concezione del mondo dà l’impressione di essere moderna. Il loro pensiero riguardo le questioni economiche, per esempio, è molto si­mile al nostro»(9). «C’era da aspettarsi — egli con­tinua — che essi abbiano fatto un’impressione positiva a tutti quegli americani, e sono in parecchi, che si sono incontrati con loro in questi ultimi 7 anni; i loro atteggiamenti, il loro modo di pensare e di afferrare direttamente i problemi, sembra più americano che orientale»(10).

Le concezioni liquidatorie di Browder sul partito si ritrovano in sostanza anche nelle teorie di Mao Tsetung. Come il comunismo cinese era senza colore, così anche il Partito Comunista Cinese aveva di comunista solo il nome. Mao Tsetung non ha lavorato per un autentico partito proletario, marxista-leninista. Dalla sua composizione di classe, dalla sua struttura di organizzazione e dall’ideologia a cui si ispirava, il Partito Comunista Cinese non è stato un partito di tipo leninista. E per di più Mao Tsetung non teneva in nessun conto anche questo partito. Egli faceva di testa sua, mentre nel corso della cosiddetta Rivoluzione Culturale procedette al suo scioglimento, concentrando tutto il potere nelle sue mani e portando l’esercito alla direzione degli affari.

Così come Browder, che presentava l’ameri­canismo come modello ideale della società futura, anche Mao Tsetung considerava la democrazia americana come il migliore esempio di organizza­zione statale e sociale per la Cina. Infatti aveva detto a Service che «Noi cinesi sopra ogni cosa consideriamo voi, americani, come l’ideale della democrazia».(11)

Oltre ad accettare la democrazia americana, i dirigenti cinesi chiedevano di stabilire stretti e diretti legami con il capitale americano, chiede­vano l’aiuto economico americano. Service scrive che Mao Tsetung gli ha detto: «La Cina deve pro­ cedere alla sua industrializzazione. Ciò può essere conseguito — in Cina — solo attraverso l’iniziativa privata e l’aiuto del capitale straniero. Gli interessi americani e cinesi sono legati fra loro e sono simili...
«Gli USA troveranno in noi uno spirito di collaborazione maggiore a quello del Kuomintang. Noi non avremo paura dall’influenza della democrazia americana, essa sarà accolta bene da parte nostra...
«L’America non deve avere timore del fatto che noi non saremo disposti a collaborare con essa. Noi dobbiamo collaborare e dobbiamo ricevere l’aiuto americano».(12)

Simili dichiarazioni e richieste vengono fatte oggi quotidianamente dai discepoli e collaboratori di Mao Tsetung, come Teng Hsiao-ping, Hua Kuo- feng ed altri, che stanno realizzando in pratica i multiformi legami con l’imperialismo americano, che Mao Tsetung aveva sognato e cominciato ad attuare nella pratica. Ora la strategia cinese è completamente orientata verso la collaborazione generale e particolare con gli Stati Uniti d’America e con il capitalismo mondiale, i quali hanno cominciato a sostenere la Cina politicamente, ad influire ideologicamente su di essa affinché abbandoni anche quell’ombra di marxismo-leninismo che può essere rimasta nella mente e nel cuore del popolo minuto e proceda a quelle profonde trasformazioni politiche e organizzative verso il sistema capitalista, tanto nel campo economico che nell’organizzazione dello Stato o del partito.

Di fatto, tutta la linea di Mao Tsetung con­ cernente la costruzione della Cina e la sua concezione riguardo lo sviluppo dei paesi liberati dal colonialismo sono stati di aiuto all’imperialismo americano e corrispondevano alla sua linea strate­gica. Se una stretta cooperazione fra la Cina e gli Stati Uniti d’America non fu stabilita sin dall’ini­zio, ciò si spiega con il fatto che in America negli anni del dopoguerra ebbe il sopravvento il lobby di Chiang Kai-shek. In quel periodo la «guerra fredda» era al suo punto culminante ed in America imperversava il maccartismo. D’altra parte, subito dopo la guerra gli Stati Uniti d’Ame­rica diedero la priorità al Giappone, pensando che innanzi tutto dovevano aiutare o sottomettere sotto ogni aspetto questo paese, farsene un potente e docile alleato, rimettere in sesto l’economia giap­ponese e trasformare questo paese in un potente bastione contro l’Unione Sovietica ed, eventualmente, anche contro la Cina di Mao Tsetung. A quel che pare, gli USA non erano tanto potenti da poter concedere aiuti a tutti i paesi del mondo per prepararli contro l’Unione Sovietica, contro il sistema socialista, perciò hanno preferito preparare maggiormente l’Europa e il Giappone, dove le devastazioni erano più ingenti e dove il socialismo metteva in pericolo il capitale mondiale.

Sono stati proprio questi fattori a far si che i caporioni dell’imperialismo americano non strin­gessero immediatamente la mano tesa loro da Mao Tsetung. Doveva trascorrere molto tempo, era necessario che i dirigenti revisionisti cinesi po­tessero dare nuove prove del loro «amore» per l’America, prima che Nixon si recasse a Pechino e gli americani e tutti gli altri si convincessero che la Cina non aveva nulla a che fare con il so­cialismo.

Dopo la Seconda Guerra mondiale, anche i revisionisti jugoslavi furono coinvolti nella gran­de campagna scatenata dall’imperialismo america­no e dalle altre forze reazionarie, che si raccolse­ro attorno ad esso, nella lotta contro il socialismo e la rivoluzione. Questa corrente, che rappresentava il revisionismo al potere, comparve sulla scena in un momento cruciale della lotta fra il socialismo e l’imperialismo.

Il periodo successivo alla Seconda Guerra mondiale non poteva essere un periodo di calma, non solo per l’imperialismo, ma nemmeno per il socialismo. Nelle nuove condizioni createsi, l’imperialismo doveva far fronte al pericolo di morte che lo minacciava, mentre il socialismo doveva consolidarsi, irradiarsi e fornire sulla giusta via il suo aiuto per la liberazione e il progresso dei popoli del mondo. Questo era il momento in cui non solo bisognava curare e sanare le piaghe della guerra, ma anche sviluppare correttamente la lotta di classe, sia nei paesi dove il proletariato si era impadronito del potere che sull’arena internazionale. La vittoria sul fascismo era già stata conseguita, ma la pace era relativa, la lotta proseguiva con altri mezzi.

I paesi socialisti e i loro partiti comunisti ave­vano il compito di lavorare per il consolidamento delle vittorie sulla via marxista-leninista, essi do­vevano servire di esempio ai popoli ed ai partiti comunisti che non erano ancora al potere. Inol­tre, i partiti comunisti dei paesi socialisti doveva­no ulteriormente temprarsi con l’ideologia mar­xista-leninista, facendo di tutto che essa non si trasformasse in un dogma, ma rimanesse, com’è in realtà, una teoria rivoluzionaria in atto, uno strumento per la realizzazione di pro­fonde trasformazioni sociali. Specialmente i paesi socialisti e i partiti comunisti, dopo la vitto­ria di portata storica sulla coalizione fascista, non dovevano montarsi la testa e pensare di essere infallibili, né dovevano dimenticare o indebolire la lotta di classe. E’ proprio questo rilevante fattore che Stalin aveva in vista, quando sottolineava la necessità di continuare la lotta di classe nel socialismo.

E’ proprio in tali circonstanze che i titisti si pronunciarono apertamente contro il marxismo- leninismo. Il titismo non buttò via sin dall’inizio la maschera pronunciandosi contro la rivoluzione, contro il socialismo, al contrario cercò di mascherarsi e continuò a preparare il terreno per il ritorno della Jugoslavia sulla via capitalista e per la sua trasformazione in uno strumento dell’imperialismo mondiale.

E’ noto che il titismo era rivolto spiritual- mente, ideologicamente e politicamente verso l’Occidente, verso gli Stati Uniti d’America, e che esso sin dall’inizio manteneva numerosi contatti politici ed ordiva combinazioni segrete con gli inglesi e gli altri rappresentanti del capitalismo mondiale. I dirigenti jugoslavi spalancarono le porte del paese all’UNRRA, attraverso la quale e con il pretesto dell’aiuto consistente in stracci e generi alimentari rimasti invenduti sin dal periodo della guerra, gli imperialisti anglo-americani cercavano di infiltrarsi in molti paesi del mondo, e soprattutto nei paesi a democrazia popolare. Gli imperialisti miravano a preparare un terreno più o meno favorevole alle azioni che avrebbero intrapreso nel futuro su un piano più vasto. Gli jugoslavi trassero un notevole profitto dai regali dell’UNRRA, ma anche questa riuscì ad esercitare la sua influenca sui meccanismi statali non correttamente strutturati dello Stato jugoslavo di recente formazione.

Sin dall’inizio l’imperialismo americano e tutta la reazione intemazionale sostennero pienamente il titismo, perché videro in esso la via, l’ideologia e la politica che portavano alla degenerazione dei paesi del campo socialista, alla scissione e alla rottura della loro unità con l’Unione Sovietica. L’attività del titismo collimava in pieno con gli scopi dell’imperialismo americano di minare il socialismo dall’interno. Tuttavia, il titismo avrebbe servito alla strategia dell’imperialismo anche per paralizzare le lotte di liberazione e per separare dal movimento rivoluzionario i nuovi Stati, che avevano appena scosso il giogo coloniale.

Sin dall’inizio, i revisionisti jugoslavi si oppo­sero alla teoria e alla pratica dell’autentico socia­lismo di Lenin e di Stalin in tutte le questioni e in tutti i campi. Tito e il suo gruppo legarono il loro paese al mondo capitalista e si impegnarono a trasformare ogni cosa in Jugoslavia indirizzandola verso i paesi capitalisti dell’Occidente, comincian­do dalla politica, dall’ideologia, fino all’organiz­zazione dello Stato, dell’economia e dell’esercito. Essi miravano a trasformare il più rapidamente possibile la Jugoslavia in un paese borghese capitalista. Le idee di Browder, che di fatto erano le idee del capitalismo americano, trovarono un terreno adatto nella piattaforma politica e ideologica del titismo.

Innanzi tutto, i titisti procedettero alla revi­sione dei princìpi fondamentali del marxismo-leninismo sul ruolo e la missione del potere rivolu­zionario e del partito comunista nella società so­cialista. Essi attaccarono la tesi marxista sul ruolo guida del partito comunista in tutti i campi della vita, nonché nel sistema di dittatura del proleta­riato. Seguendo l’esempio di Browder in America, essi praticamente procedettero alla liquidazione del partito, non solo perché gli cambiarono il nome, chiamandolo Lega dei comunisti, ma anche modificandone le finalità, le funzioni, l’organizazzione e il ruolo che doveva svolgere nella rivoluzione e nella costruzione del socialismo. I titisti trasformarono il loro partito in un’associazione educativa-propagandistica. Essi svuotarono il Partito Comunista Jugoslavo del suo spirito rivoluzionario e, de facto, si spinsero al punto di eliminare l’influenza del partito e di sottometterlo al ruolo del Fronte popolare.

Per quel che riguarda la questione cardinale del partito, cioè il fattore guida della rivoluzione e della costruzione del socialismo, c’è un’affinità fra i punti di vista politici, ideologici e organizza­tivi del browderismo e del titismo. Finché il titi­smo, così come il browderismo, è liquidatorio e an­timarxista per quel che riguarda la piattaforma de­cisiva del ruolo d’avanguardia del partito della classe operaia nella rivoluzione e nella costru­zione del socialismo, tale esso è anche per quel che riguarda tutte le altre piattaforme.

La somiglianza fra i punti di vista dei titisti con quelli di Browder appare anche nella posizio­ne nei confronti della «democrazia americana», che i titisti hanno preso a modello per la struttura del sistema politico in Jugoslavia. Lo stesso Kardelj ha ammesso che questo sistema è «... simile all’organizzazione del potere esecutivo negli Sta­ti Uniti d’America».(13)

In seguito alla liquidazione del partito e alla rottura con l’Unione Sovietica e con i paesi a de­mocrazia popolare, la Jugoslavia si trovò a dibat­tersi in un caos di azioni economiche e organizza­tive. I titisti proclamarano «sociale» la proprietà statale e con lo slogan anarcosindacalista «le fab­briche agli operai» camuffarono i rapporti capi­talisti nella produzione, mettendo i reparti della classe operaia l’uno contro l’altro. Alla collettivizzazione dei piccoli produttori, che venne chia­mata la «via russa», essi contrapposero la «via americana» della creazione di grandi aziende agri­cole capitaliste e del sostegno delle aziende agri­cole private.

Naturalmente, questa trasformazione nel campo economico, politico e ideologico non poteva non portare anche a continui mutamenti nell’organizzazione dello Stato, dell’esercito, dell’istruzione e della cultura. Negli anni ’50, essi proclamarono il cosiddetto socialismo autogestivo, che venne impiegato per mascherare l’ordine ca­pitalistico. Questo «socialismo specifico», secondo loro, sarebbe stato edificato non basandosi sullo Stato socialista, ma sui produttori diretti. Su questa base essi predicarono l’estinzione dello Sta­to sin dal socialismo, negando la tesi di fondo marxista-leninista sulla necessità dell’esistenza della dittatura del proletariato durante tutto il periodo che va dal capitalismo al comunismo.

Per giustificare la loro linea di tradimento e per gettare polvere negli occhi della gente, i titi­sti tentarono di farsi passare per «marxisti crea­tori», che si oppongono solo allo «stalinismo» e non al marxismo-leninismo. Così è stato confer­mato ancora una volta che lo slogan dello «svi­luppo creativo del marxismo e della lotta contro il dogmatismo» è lo slogan più preferito e comune di ogni variante del revisionismo.

Gli Stati Uniti d’America, l’Inghilterra, la so­cialdemocrazia europea, ecc. hanno sostenuto sotto ogni aspetto, politicamente, economicamente e mi­litarmente la Jugoslavia titista, e sono stati loro a mantenerla in vita. La borghesia non era con­traria, anzi aveva interesse che la Jugosla­via conservasse formalmente l’aspetto «socialista». A condizione però che questo genere di «socialismo» fosse completamente diverso dal socialismo concepito e costruito da Lenin e Stalin, socialismo che i revisionisti jugoslavi cominciarono ad attaccare considerandolo come «forma inferiore di socialismo», come «socialismo étatista», «burocratico» e «antidemocratico». Il «socialismo» jugoslavo doveva essere una società ibrida capitalista-revisionista, ma specificatamente borghese-capitalista. Esso doveva servire da «cavallo di Troia» per penetrare anche negli altri paesi socialisti, allo scopo di allontanarli dalla via socialista e legarli all’imperialismo.

E in realtà il titismo divenne l’ispiratore degli elementi revisionisti e opportunisti nei paesi ex socialisti. I revisionisti jugoslavi svolsero un intenso lavoro di eversione e di sabotaggio in quei paesi. Basta ricordare gli avvenimenti di Ungheria del 1956, dove i revisionisti jugoslavi svolsero un ruolo molto attivo per aprire un varco alla controrivoluzione e per far passare l’Ungheria nel campo dell’imperialismo.

Lo stesso Tito ha spiegato chiaramente ed apertamente nel suo noto discorso tenuto a Pola nel 1956 il ruolo che assunse il titismo nella stra­tegia generale dell’imperialismo per minare dall’ interno i paesi socialisti. Sin d’allora egli dichiarò che il modello jugoslavo di socialismo era valido non solo per la Jugoslavia, ma doveva essere seguito e attuato anche dagli altri paesi socialisti.

Anche le concezioni e le teorie titiste sullo sviluppo del mondo e delle relazioni internaziona­li erano conformi alla strategia dell’imperialismo americano. Il principale teorico del revisionismo jugoslavo, Kardelj, nel discorso tenuto a Oslo nell’ottobre del 1954 si espresse apertamente contro la teoria della rivoluzione, reclamizzando le «nuove» soluzioni che, a suo dire, il capitali­smo avrebbe trovato. Egli, distorcendo l’essenza del capitalismo monopolista di Stato che, dopo la Seconda Guerra mondiale, assunse vaste propor­zioni in parecchi paesi capitalisti, proclamò que­sto genere di capitalismo come elemento socialista, mentre la democrazia borghese classica fu da lui definita come «regolatrice delle contraddizioni sociali verso il graduale rafforzamento degli elementi socialisti». Egli dichiarò che attualmente si sta verificando un’«evoluzione graduale verso il socialismo», e definì tale fenomeno come un «fatto storico» in una serie di Stati capitalistici. Queste concezioni revisioniste, che in sostanza sono identiche a quelle di Browder, furono inserite nel programma della Lega dei Comunisti Jugoslavi e divennero uno strumento di eversione ideologica e politica contro il movimento rivoluzionario e di liberazione del proletariato e dei popoli.

Su questa base i revisionisti jugoslavi hanno elaborato le loro teorie e pratiche del «non allineamento», che erano di sostegno alla strategia dell’imperialismo americano per contenere l’impeto della lotta antimperialista dei popoli del cosiddetto «terzo mondo», per sabotare i loro sforzi in difesa della loro libertà, indipendenza e sovranità. I titisti cercano di convincere questi popoli dicendo loro che riusciranno a realizzare le loro aspirazioni praticando la politica del non allineamento, vale a dire la politica di non opposizione all’imperialismo. Secondo i titisti, la via di sviluppo di questi paesi deve essere ricercata nella «collaborazione attiva», nella «cooperazione sempre più ampia» con gli imperialisti e il grande capitale mondiale, negli aiuti e crediti che devono ricevere dai paesi capitalisti sviluppati.

La stessa realtà attuale della Jugoslavia mostra chiaramente dove porta la via propugnata dai revisionisti di Belgrado. La collaborazione con l’imperialismo americano, con il socialimperialismo sovietico e con gli altri grandi Stati capitalisti, gli ingenti aiuti e crediti che ha ricevuto da essi hanno ridotto la Jugoslavia in un paese che dipende sotto tutti i riguardi dal capitalismo mondiale, con un’indipendenza e sovranità troncate.

La comparsa sulla scena del revisionismo kruscioviano è stata di grandissimo aiuto, e per di più molto desiderata, per la strategia dell’impe­rialismo americano e per tutta la lotta della borghesia internazionale contro la rivoluzione e il socialismo. Il tradimento kruscioviano fu il colpo più duro e più nocivo che sia mai stato inferto al socialismo e al movimento rivoluzionario e di liberazione dei popoli. Esso ha trasformato il primo paese socialista e il grande centro della rivoluzione mondiale in un paese imperialista e in un focolaio della controrivoluzione. Le ripercussioni di questo tradimento a livello nazionale e internazionale sono state veramente tragiche. Non solo i movimenti rivoluzionari e di liberazione dei popoli hanno sofferto e soffrono delle sue conseguenze, ma anche la pace e la sicurezza internazionali sono state gravemente minacciate.

In quanto corrente ideologica e politica, il krusciovismo non cambia molto dalle altre corren­ti del revisionismo moderno. Esso è una conse­guenza della stessa pressione esterna ed interna della borghesia, dello stesso allontanamento dai princìpi del marxismo-leninismo, della stessa fina­lità di contrastare la rivoluzione e il socialismo e di salvaguardare e rafforzare il sistema capitalista.

La differenza che esiste fra queste correnti ri­guarda solo il grado di pericolosità di ciascuna di esse. Il revisionismo kruscioviano rimane pur sempre il revisionismo più pericoloso, più diabo­lico, più minaccioso. E ciò per due motivi. Primo, perché si tratta di un revisionismo mascherato, che conserva gli aspetti esterni socialisti, mentre per ingannare la gente e farla cadere nelle sue trappole si serve largamente della terminologia marxista e, all’occorrenza, anche di slogan rivoluzionari. Attraverso questa demagogia esso cerca di creare una fitta nebbia per nascondere l’attuale realtà capitalista dell’Unione Sovietica e, soprattutto, di dissimulare i suoi fini espansionistici, di ingannare i movimenti rivoluzionari e di liberazione nonché di trasformarli in strumenti della sua politica. Secondo, e ciò è molto importante, il revisionismo kruscioviano è divenuto l’ideologia dominante di uno Stato che rappresenta una grande potenza imperialista, e che mette a sua disposizione rilevanti mezzi e le crea la possibilità di manovrare su vasta scala in molti campi.

Il krusciovismo e le altre correnti revisioniste hanno in comune l’obiettivo di liquidare il partito comunista e di trasformarlo in una forza politica al servizio della borghesia. Anche in Unione Sovietica il Partito Comunista di Lenin e di Stalin è stato liquidato. E’ vero che, contrariamente a quello che è avvenuto in Jugoslavia, lì non hanno cambiato il nome del partito, ma l’hanno svuotato della sua essenza e del suo spirito rivoluzionario. Il ruolo del Partito Comunista dell’Unione Sovietica è stato cambiato, e invece di continuare a lavorare per il rafforzamento dell’ideologia marxista-leninista, esso si è adoperato a deformare la teoria marxista-leninista sotto diverse maschere, con una fraseologia vuota di senso, con la demagogia. L’organismo politico del partito, come l’esercito, la polizia e gli altri organi della dittatura della nuova borghesia, si è trasformato in un’organismo per reprimere le masse, senza parlare poi del fatto che il partito è divenuto anche portatore dell’ideologia e della politica di oppressione e di sfruttamento di queste masse. Il Partito Comunista dell’Unione Sovietica si è degradato, si è consunto ed è divenuto il «partito di tutto il popolo», vale a dire non un partito d’avanguardia della classe operaia che fa progredire la rivoluzione e costruisce il socialismo, ma un partito della nuova borghesia revisionista che fa degenerare il socialismo e porta avanti il processo di restaurazione del capitalismo.

Così come Browder, Tito, Togliatti ed altri, che avevano predicato la trasformazione dei loro partiti in «associazioni», in «leghe», in «partiti di massa», con il pretesto di adeguarsi ai nuovi cam­biamenti sociali che erano avvenuti come risul­tato dello sviluppo del capitalismo, della crescita della classe operaia e della sua influenza politica e ideologica, ecc., anche Krusciov ha giustificato il mutamento del carattere del partito con il pre­testo di adeguarlo alle situazioni createsi in Unio­ne Sovietica, dove la costruzione del socialismo sarebbe stata già conclusa e sarebbe già iniziata la costruzione del comunismo. Secondo Krusciov, la composizione del partito, la sua struttura, il suo ruolo e posto nella società e nello Stato dovevano essere cambiati in conformità con l’«epoca nuova».

Quando Krusciov cominciò a predicare que­ste tesi, non solo non si era cominciato a costruire il comunismo in Unione Sovietica, ma anche il socialismo era ben lontano dalla sua completa costruzione. Le classi sfruttatrici erano state effettivamente liquidate, ma i loro residui, non solo fisicamente, ma soprattutto ideologicamente, non erano trascurabili. La Seconda Guerra mondiale era stata di ostacolo all’emancipazione su vasta scala dei rapporti di produzione e le forze produttive, che costituiscono la necessaria e indispensabile base in questo senso, erano state gravemente danneggiate. L’ideologia marxista-leninista era dominante, ma non si può affermare che le vecchie ideologie fossero state completamente sradicate dalla coscienza delle masse. L’Unione Sovietica aveva conseguito la vittoria sul fascismo, ma un’altra guerra, con altri mezzi e non meno pericolosa, era cominciata contro di essa. L’imperialismo, con alla testa quello americano, aveva dichiarato la «guerra fredda» contro il comunismo e tutte le frecce avvelenate del capitalismo mondiale erano puntate in primo luogo contro l’Unione Sovietica. Una grande pressione veniva esercitata sullo Stato e sugli uomini sovietici, e ciò allo scopo di creare la paura della guerra, di frenare lo slancio rivoluzionario nonché di contenere il loro spirito internazionalista e di opposizione all’imperialismo.

Di fronte a queste pressioni interne ed ester­ne, Krusciov si arrese e capitolò. Egli cominciò a presentare la situazione sotto i colori più belli per nascondere le sue illusioni pacifiste. Le sue tesi sulla «costruzione del comunismo», la «fine della lotta di classe», la «vittoria definitiva del socialismo» sembravano delle innovazioni, ma in realtà erano reazionarie. Esse cercavano di nascondere la nuova realtà in gestazione, la nascita e lo sviluppo di un nuovo strato borghese nonché le sue pretese per stabilire il proprio potere in Unione Sovietica.

La linea e il programma che Krusciov pre­sentò al 20° Congresso del PC dell’Unione Sovietica rappresentavano non solo la linea di restau­razione del capitalismo in Unione Sovietica, ma anche la linea volta a sabotare la rivoluzione, a sottomettere i popoli all’imperialismo e la classe operaia alla borghesia. I kruscioviani predicava­no che nell’attuale tappa la principale via di pas­saggio al socialismo era la via pacifica. Essi raccomandavano ai partiti comunisti di seguire la politica di conciliazione di classe, di collaborazio­ne con la socialdemocrazia e con le altre forze politiche della borghesia. Questa linea contribuiva al conseguimento degli obiettivi per i quali l’impe­rialismo e il capitale si battevano da tempo impie­gando i più svariati mezzi, con le armi e la diver­sione ideologica. Essa aprì un ampio varco al ri­formismo borghese e diede la possibilità al capi­tale di manovrare nella difficile situazione eco­nomica, politica e militare, che era venuta a crearsi dopo la Seconda Guerra mondiale. Così si spiega tutta quella grande pubblicità che la borghesia fece in tutto il mondo al 20° Congresso del PC dell’Unione Sovietica, e il fatto che chiamò Krusciov l’«uomo della pace» che capisce le «situazioni», a differenza di Stalin che era per l’«ortodossia comunista», per l’«inconciliabilità con il mondo capitalista» ecc.

Con le loro tesi della via pacifica verso il so­cialismo, i kruscioviani chiedevano ai comunisti e ai rivoluzionari del mondo di non prepararsi e di non fare la rivoluzione, ma di ridurre tutta la loro azione alla sola propaganda, ai dibattiti e alle manovre elettorali, alle manifestazioni sindacali e alle rivendicazioni del giorno.

Questa era la linea tipicamente socialdemo­cratica, combattuta con tanto ardore da Lenin e rovesciata dalla Rivoluzione d’Ottobre. Le conce­zioni kruscioviane, che erano state prese a presti­to dall’arsenale dei capifila della II Internazio­nale, suscitarono pericolose illusioni e scredita­rono l’idea stessa della rivoluzione. Esse non pre­paravano la classe operaia e le masse lavoratrici ad essere vigilanti e ad opporsi alla violenza della borghesia, ma la lasciavano alla sua mercé e la sottomettevano ad essa. Ne sono una riprova anche gli avvenimenti dell’Indonesia e del Cile ecc., dove i comunisti e i popoli di questi paesi hanno pagato a caro prezzo le illusioni revisioniste della via pacifica verso il socialismo.

L’altra tesi del 20° Congresso del PC del l’Unione Sovietica sulla «coesistenza pacifica», che i kruscioviani si sforzarono di imporre a tutto il movimento comunista, estendendola anche ai rapporti fra le classi, fra i popoli e i loro oppressori imperialisti, era altrettanto a favore dell’imperialismo e della borghesia e a danno della rivoluzione. Impostando il problema nel seguente modo: o «coesistenza pacifica, o guerra di sterminio», ai popoli e al proletariato mondiale, secondo i kruscioviani, non restava altro che chinare la schiena, rinunciare alla lotta di classe, alla rivoluzione e ad ogni iniziativa che «potesse irritare» l’imperialismo e provocare lo scoppio della guerra.

Le concezioni kruscioviane sulla «coesistenza pacifica», in stretta connessione con le concezioni sul «mutamento della natura dell’imperialismo», in realtà concordavano con le prediche di Brow­der secondo cui il capitalismo e l’imperialismo ame­ricano sarebbero divenuti un fattore di progresso per lo sviluppo del mondo del dopoguerra. Inver­niciando così l’imperialismo americano e creando­ne un’immagine falsa con queste prediche, si cercava di assopire la vigilanza dei popoli nei con­ fronti della politica egemonica ed espansionistica degli Stati Uniti d’America, e di sabotare la loro lotta di liberazione antimperialistica. La «coesistenza pacifica» kruscioviana, non solo come ideologia, ma anche come linea pratica politica spingeva i popoli, in particolar modo i nuovi Stati d’Asia, d’Africa, dell’America Latina ecc., a spegnere i «focolai di lotta», a cercare l’avvicinamento e la conciliazione con l’imperialismo e ad approfittare della «cooperazione internazionale» per «sviluppare in pace» la loro economia ecc. Questa linea, sebbene espressa in modo differente, con termini e formule diverse, era pur sempre la stessa linea predicata da Browder, se­condo la quale la ricca America, nelle condizioni della «coesistenza pacifica» fra Stati Uniti d’America e Unione Sovietica, poteva favorire il riassestamento e il progresso di tutto il mondo. Era la stessa linea predicata e attuata da Tito in Jugoslavia, che aveva aperto le porte del paese agli aiuti, ai crediti e ai capitali americani. Era anche il desiderio di Mao Tsetung e degli altri dirigenti maoisti che volevano costruire la Cina con gli aiuti americani, ma che circostanze e vicende diverse non glielo avevano permesso fino allora.

Anche l’Unione Sovietica non può fare a meno degli aiuti dell’America e degli altri paesi occi­dentali, come non possono farne a meno i titisti ed attualmente i maoisti. L’integrazione dell’Unione Sovietica e degli altri paesi revisionisti legati ad essa nell’economia mondiale capitalista ha assunto vaste proporzioni. Questi paesi sono ora fra i più grandi importatori di capitali occidentali. I loro debiti, almeno quelli resi pubblici, ammontano a decine di miliardi di dollari. Alle volte, a causa delle congiunture che vengono a crearsi, come ora a causa degli avvenimenti dell’Afghanistan, questo processo si rallenta, ma non si ferma mai. Gli interessi capitalistici in gioco delle due parti sono così grandi, che in particolari situazioni hanno il sopravvento su ogni frizione, rivalità e scontro.

I revisionisti sovietici sono ricorsi alla tesi del­la «coesistenza pacifica» non solo per giustificare la loro politica di concessioni e di compromessi con l’imperialismo americano. Questa linea è servita e serve loro anche da maschera per nascondere la politica espansionistica del socialimperialismo sovietico, per attenuare la vigilanza e la resistenza dei popoli di fronte ai piani imperialistici ed egemonici dei dirigenti revisionisti sovietici. La tesi della «coesistenza pacifica» era un appello che i revisionisti sovietici rivolgevano agli imperialisti americani allo scopo di spartirsi e dominare il mondo assieme.

La linea revisionista kruscioviana consentì all’imperialismo e alla reazione di approfittare della situazione per scatenare un’offensiva generale contro il comunismo. Di particolare aiuto a questa nuova campagna contro la rivoluzione e il socialismo furono anche gli attacchi e le calunnie dei revisionisti kruscioviani contro Stalin e la sua opera.

I revisionisti kruscioviani iniziarono la lotta contro Stalin per giustificare il corso antimarxista che avevano cominciato a seguire all’interno e fuori del paese. Essi non potevano negare la dittatura del proletariato e trasformare l’Unione Sovietica in uno Stato borghese-capitalista, essi non potevano impegnarsi in mercanteggi con l’imperialismo senza negare l’opera di Stalin. Questo è anche il motivo per cui la campagna scatenata contro Stalin fu impostata su accuse prese a prestito dall’arsenale propagandistico imperialista e trotzkista, che presentava il passato dell’Unione Sovietica come un periodo di «rappresaglie in massa» e il sistema socialista come una «repressione della democrazia», come una «dittatura simile a quella di Ivan il Terribile» ecc.

Nonostante gli attacchi e le calunnie degli imperialisti, dei revisionisti e degli altri nemici della rivoluzione, l’opera e il nome di Stalin sono e rimangono immortali. Stalin era un grande rivoluzionario, un eminente teorico che si schiera a fianco di Marx, Engels e Lenin.

La vita ha confermato e conferma ogni giorno la giustezza delle analisi e degli atteggiamenti del Partito del Lavoro d’Albania nei riguardi del re­visionismo kruscioviano. In Unione Sovietica il socialismo è stato distrutto e il capitalismo restau­rato. Mentre sull’arena internazionale gli atteggia­menti e le azioni della direzione sovietica hanno rivelato sempre più il carattere socialimperialista dell’Unione Sovietica, la sua ideologia reazionaria di grande potenza. Così, il revisionismo krusciovia­no è divenuto non solo l’ideologia della restaura­zione del capitalismo e del sabotaggio della rivo­luzione e della lotta di liberazione nazionale dei popoli, ma anche l’ideologia dell’agressione social­ imperialista.

Note :

1 - E. Browder. Teheran, Our Path in War and Peace, New York, 1944, p. 117.
2 - E. Browder. Teheran, Our Path in War and Peace, New York, 1944, p. 118.
3 - The Path to Peace, Progress and Prosperity, New York, 1944, pp. 47, 48.
4 - Politicai Affairs, ottobre 1956.
5 - The Path to Peace, Progress and Prosperity. New York, 1944, p. 21.
6 - E. Browder. Teheran, Our Path in War and Peace, New York, 1944, p. 128.
7 - E. Browder. Teheran, Our Path in War and Peace. New York, 1944, p. 26.
8 - J. Service. Lost Chance in China, New York, 1974, p. 195.
9 - J. Service. Lost Chance in China, New York, 1974, p. 198.
10 - J. Service. Lost Chance in China, New York, 1974, p. 303.
11 - Ibidem, p. 307.
12 - E. Kardelj. Gli indirizzi di sviluppo del sistema politico di autogestione socialista. Rilindja, Prishtine, 1978, p. 235.





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